Il Gallo Cedrone è il Tetraonide di maggiori dimensioni: i maschi pesano fino a 4-5kg mentre le femmine solo la metà.
I due sessi sono diversi anche per la colorazione: il maschio è nerastro con collo blu-verde lucente, ciuffo di piume pendente dal manto a forma di barba, ali brune e coda nera con macchie bianche, una macchia bianca anche sull’ala, caruncole rosse.
La femmina è bruno-mimetica con abbondanti segni bianchi e neri, petto caratteristicamente bruno-ruggine. Il Gallo Cedrone è presente in Scandinavia ed in Scozia, nelle Alpi, nei Pirenei e nei Carpazi. Perlopiù è scomparso nelle montagne interne della Germania, Francia e dell’Europa orientale, quale conseguenza della silvicoltura moderna.
L’habitat del Gallo Cedrone è costituito dalle grandi foreste di conifere con vecchi alberi, radure e molti arbusti bacciferi, soprattutto mirtillo nero e rosso. Questi boschi non sono molto produttivi da un punto di vista silvicolturale.
La specie evita le formazioni forestali chiuse, fitte ed uniformi perché questi uccelli, pesanti ed impacciati, non vi possono volare in linea retta. Le maggiori densità di popolamento si riscontrano nelle foreste tipo “taiga”, della Scandinavia. Le parate nuziali del Gallo Cedrone iniziano già nel tardo inverno e raggiungono l’apice in maggio. Il maschio comincia i suoi richiami ancor prima dell’alba, dall’albero dove ha trascorso la notte e scende quindi nell’arena non appena fa chiaro.
Il suo canto consiste di quattro strofe: il gocciolio, il trillo, lo schiocco e l’arrotondamento. Nell’emettere l’ultima strofa, diviene sordo perché il canale auricolare si chiude. Ogni gallo difende la sua area e si accoppia con il maggior numero di galline possibile. La gallina depone a maggio 5-12 uova e cova per 26-28 giorni. I pulcini lasciano il nido immediatamente e dopo 10 giorni possono volare per brevi tratti. All’età di 6-7 settimane si possono distinguere i due sessi. A settembre si scioglie la nidiata. Nelle prime tre settimane di vita i pulcini si nutrono di insetti, soprattutto formiche, loro larve e pupe. In seguito passano ad un’alimentazione vegetale.
In autunno si nutrono preferibilmente di bacche. Finché c’è neve la base alimentare principale sono gli ahi di pino, meno volentieri quelli di abete rosso. In primavera si alimentano di gemme di latifoglie ed in estate anche di erba e foglie.
La Beccaccia fa parte dell’ordine dei Caradriformi e della famiglia degli Scolopacidi.
Ha dimensioni medie, forme abbastanza tozze, becco lungo e dritto, occhi grandi posti molto indietro sulla testa rotonda, ali relativamente brevi, coda breve e zampe piuttosto corte. Il piumaggio in entrambi i sessi è di colore bruno-rossastro con barrature trasversali nere sul vertice e sul collo, parti inferiori finemente barrate di bruno scuro, becco carnicino con apice bruno scuro, zampe carnicino. Grigiastre.
In volo è ben riconoscibile per la sagoma tozza, il becco lungo ed il profilo arrotondato dell’ala.
Lunghezza 33-35 cm, peso 250-410 g.
Specie distribuita come nidificante in Europa, Asia e isole dell’Atlantico. Le popolazioni europee migrano a sud fino al Nord Africa. In Italia è di passo da metà ottobre a novembre e da febbraio ad aprile; è svernante nelle regioni meridionali. E’ segnalata la sua nidificazione in tutta la zona alpina e prealpina, nei boschi planiziali residui della Pianura Padana, nell’Appennino ligure, toscano ed emiliano. Frequenta boschi misti ricchi di sottobosco e radure sia di pianura che di montagna. Di carattere poco socievole, conduce vita solitaria, assumendo un comportamento indipendente anche se nelle vicinanze sono presenti altri esemplari. Possiede un volo assai vario, a volte lento e a volte veloce, in genere non molto alto; quando si alza in volo può essere silenziosa oppure far udire il caratteristico rumore delle ali simile al fruscio della carta. Terraiola, può muoversi pure ad andatura veloce e di rado si posa sugli alberi.
E’ dotata di udito e vista acuti. Ha abitudini crepuscolari e notturne e trascorre le ore diurne nei luoghi di rimessa in un sonno leggerissimo interrotto di frequente. Si ciba di vermi, insetti e loro larve, molluschi, crostacei, ragni, semi, germogli.
La stagione della riproduzione inizia col cerimoniale di corteggiamento da parte del maschio, che effettua prima un volo sulla zona ove si trova la femmina, poi una vera e propria danza attorno alla compagna. Avvenuto l’accoppiamento, la femmina prepara il nido in una cavità del terreno ai piedi di un albero o al riparo del sottobosco e vi depone in genere 4 uova, che cova per 20-21 giorni.
Alla cura della prole, che richiede circa un mese, partecipa anche il maschio. Caratteristico è il modo di trasportare i piccoli tra le zampe a ridosso del petto o sul dorso, quando un sentore di pericolo consiglia la madre di allontanarsi dal luogo in cui si trova oppure per portarli in ambienti adatti alla ricerca del cibo. Depone in genere una volta l’anno e talvolta due.
Il gatto Bombay è una razza ibrida tra il Burmese bruno ed l’Americano a pelo corto.
Un caratteristico pelo nero e occhi d’oro, originario dell’america.
Un gatto molto affettuoso, smette raramente di fare le fusa, ha bisogno della manifestazione di molto affetto, di non essere lasciato solo se non per brevi periodi di tempo, ama la tranquillità e detesta i rumori troppo forti.
Il suo Pelo è di tipo corto,di tessitura fine che ricorda il raso, molto aderente alla pelle e di colore nero, bruno
Estremamente agili, i Bombay non hanno paura dei luoghi alti, amano giocare con la gente e fanno le fusa se presi in braccio; come i cani, sono in grado di riportare gli oggetti e può essere loro insegnato a camminare al guinzaglio. Tollera la compagnia del cane, ma non è sempre molto paziente con i suoi simili, detesta però la solitudine. Queste pantere in miniatura possono perfino fare la guardia alla vostra casa
Il pelo del Bombay, nero fino alle radici, è aderente al corpo, lucido come cuoio e morbido come la seta; gli ampi occhi ben distanziati sono di un colore intenso fra l’oro e il rame.
Le sue dimensioni vanno dal piccolo al medio, ma nel complesso questo gatto muscoloso è più pesante di quanto sembri.
Un terminale classico del Surfcasting è lo Short Rovesciato, molto simile al Long Arm, con la differenza nella distanza tra piombo e girella (o se preferite stopper). Questo terminale è molto utile ed indicato sopratutto per la cattura dei Saraghi in condizione di mare abbastanza formato e di fondale sabbioso, mentre se volete insidiare questa preda in fondali misti o rocciosi, potete dare uno sguardo alla paratura con piombo a perdere.
Vediamo il materiale necessario per realizzare questo tipo di calamento
un piombo, preferibilmente un cono, di circa 150 grammi, poi vedete un po’ voi se ridurre o aumentare a seconda delle condizioni meteo.
un amo, con dimensione a vostra discrezione (dipende dall’esca che volete utilizzare)
una girella a T snodabile o se preferite potete utilizzare anche il sistema stopper-girella-stopper.
un filaccione da circa 1,3/1,7 metri
un filaccione da 0,9/1,5 metri
A questo punto abbiamo tutto il necessario per realizzare uno Short Rovesciato, basta semplicemente seguire l’immagine di seguito.
Al vino di base viene aggiunto lo zucchero di canna -parte de liquer de tirage-. In tale modo aumenta la pressione interna (poichè 4,2 grammi per litro sviluppando la pressione di una atmosfera e nella spumantizzazione si mettono 25 grammi per litro, nella bottiglia si sviluppano circa 6 atmosfere di pressione).
Successivamente si aggiungono lieviti selezionati, tenuti segreti dalle varie cantine di produzione, ed il vino cosi trattato viene imbottigliato con tappo a corona e coricato in cataste. In due mesi i lieviti (saccaromiceti), aggrediscono lo zucchero resistendo al grado alcolico ed alla pressione e si agglutinano permettendo la presa di spuma. La pressione viene controllata con la bottiglia in cima alla catasta nella quale è inserito un manometro.
Dopo circa due mesi i lieviti hanno consumato tutto lo zucchero e il grado alcolico del vino si è alzato insieme alla pressione interna.
Avvenuta la presa di spuma la bottiglia continua a stare accatastata per un periodo di tempo variabile dai 22 ai 48 mesi o più durante il quale lo spumante acquista i suoi caratteristici sentori: si dice che «sta sui lieviti», che vanno eliminati, essendo essi presenti come farina gialla in sospensione.
Trascorso il tempo di spumantizzazione la bottiglia viene scrollata, permettendo cosi ai lieviti di stare in sospensione, e messa in appositi portabottiglie detti pupitre, dove verrà segnata con della carta e successivamente girata di circa 1/8 di giro (remuage sur la pupitre). Il giro completo della bottiglia avviene in una settimana. Durante questo periodo la bottiglia viene anche alzata in piedi, facendo depositare i lieviti nei bicchierino presente sotto il tappo. Si procede infine alla sboccatura del vino: viene tolto il tappo con il bicchierino pieno di lieviti.
Negli anni passati tale operazione era fatta al volo da cantinari molto abili (degorgement a la voleè), al giorno d’oggi quest’ultima fase viene effettuata gelando la bottiglia con appositi macchinari (degorgement a la glace) che congelano la parte del tappo della bottiglia e dopo avere tolto la corona avviene l’espulsione automatica dei lieviti per pressione. Lo spumante ottenuto viene quindi rabboccato con un liquore detto di rabbocco (liqueur d’expedition), tenuto anch’esso segreto dalle cantine, dosando il quale si otterrà il gusto brut, extra sec, sec, demisec, doux.
Sarà poi tappato indicando sull’etichetta la data di sboccatura, anche se non obbligatorio per legge, e sarà lasciato riposare per almeno un paio di mesi. Dopo tale data è bene consumare il vino entro 10-12 mesi. Trascorso infatti questo periodo il vino appare stanco e il perlage diventa inesistente. Quando lo spumante non viene rabboccato si ha il pas dosè.